13 Maggio 2014 21:00
Teatro Cantiere Florida di Firenze | IT
Alle 20:30, prima dello spettacolo,
incontro con Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
coordinato da Marinella Guatterini
Primo vagito di un duo-compagnia che avrebbe continuato a sondare nei modi più diversi il tema del rapporto con l’altro, Terramara con i suoi echi classici bachiani e il fitto intreccio di suggestioni musicali etniche, ungheresi, indiane, rumene e siciliane, fu un exploit più che riuscito. Una meravigliosa e promettente prima prova autoriale che nell’arco di un’ora sciorinava bravura, quasi virtuosistica – a dispetto di quanti allora serbavano attenzione solo o soprattutto alla coreografia d’altri Paesi – ma non certo e mai fine a se stessa, bensì delicatamente tesa a rinforzare i caratteri di una “mediterraneità” tutta nostra, esemplare e oggi da riscoprire.
Nato come riflessione a due sul trascorrere del tempo, sulle sue vestigia antiche e sulla complessità del legame tra due esseri di sesso opposto che s’incontrano per creare nuova vita e ricrearsi, Terramara già sfruttava tutti i significati e simboli del suo titolo. Storia d’amore danzata, la pièce lasciava fluire nell’arco di un’ora e in modo originale e desueto, il sentimento più importante e segreto di due amanti nel loro impegno quotidiano, nel tempo comunitario del lavoro. Ed ecco perché le gerle piene di arance da svuotare e riempire, le fascine di paglia da caricare e spostare nello spazio immaginario di campi baciati dal solleone, durante i mesi del raccolto. In una natura, bucolicamente riscoperta come non avremmo visto in nessuna altra pièce di quegli anni, si danzava il desiderio di trovare nel lavoro pure amaro e faticoso, la scansione del tempo secondo le leggi della terra e dunque i ritmi originari dell’unione tra maschile e femminile.
Centinaia di arance riversate in scena non potevano essere, qui, un semplice ed esplicito omaggio al teatrodanza dalle scenografie naturalistiche di Pina Bausch, ma la necessità del colore/calore capace di accendere gesti e sguardi e di riversarli verso il pubblico in un abbraccio emotivo. Su questo turgore espressivo e drammatico, sprigionato nel rigore di una danza comunque formale, fa leva anche la ricostruzione 2013 di Terramara. Ora viene danzato da una coppia di giovani scelti nel bacino veneto, e guidati dai coreografi originari. La sua rinascita è, come i precedenti capisaldi italiani di RIC.CI, non certo pura archeologia, ma esemplare e fresca rigenerazione di una pièce generosa nell’intreccio coreografico, nella costruzione anche musicale, quanto nella fisicità a tinte arancioni.
Marinella Guatterini