6 Luglio 2018 21:00
Rocca di Montestaffoli a San Gimignano | IT
Nel 2015 ho portato in scena, debuttando al Teatro Greco di Siracusa, la Medea di Seneca per la regia di Paolo Magelli. È da allora che il personaggio di Medea mi insegue e mi pone interrogativi ossessivi, tanto da spingermi a ripensare alla tragedia fino a trasformarla in un monologo.
MedeAssolo ci racconta in forma di concerto lo s-concert(o) di una donna invasa dalle voci di dentro, in cerca di una pace che è ormai impossibile da raggiungere, tormentata com’è dai fantasmi del passato. Tutto è già accaduto, il più terribile degli atti commesso, ogni cosa perduta. Ma Medea continua a rivivere senza sosta il fatidico giorno che l’ha portata alla pazzia e i personaggi che lo hanno popolato, come se fossero presenze ossessive nella sua testa.
Il concerto per voce e batteria si intreccia con le meravigliose musiche originali del Maestro Arturo Annecchino. I tamburi e i piatti, suonati dal vivo, sono come una drammaturgia dell’anima, espressione di una emozionalità estrema che cerca così di gridare tutta la sua sofferenza.
Ormai perduta “negli spazi profondi del cielo senza dei” la Medea di questo soliloquio è una donna oltre il dolore, alla quale ho cercato di restituire quella umanissima disperazione che l’atto orribile dell’assassinio dei propri figli ci impedisce di considerare.
Ho cercato così di scendere con lei negli abissi della pazzia e della fine della speranza per capire come una madre possa arrivare a compiere quel gesto estremo. E benché sia impossibile da perdonare, mi sono sorpresa ad asciugare le sue lacrime, sentendo con chiarezza che qualunque essere umano solo, lontano dalla sua cultura, esule in terra straniera, ripudiato, odiato, a cui sono strappati brutalmente i sogni più grandi, può perdersi e finire in un buio tale da non credere più neppure nell’amore più grande, quello di madre.
Perché Medea è anche e soprattutto la tragedia dell’abbandono, dell’esclusione, dell’esilio. Ed è ancora qua, a ricordarci che in fondo, come ci dice Jaques Lacan, “Medea siamo noi”.
Valentina Banci