5 Maggio 2011 - 7 Maggio 2011 21:00
Stazione Leopolda di Firenze | IT
Displace: Muovere o spostare dalla posizione o dal luogo usuali, in particolare, costringere ad abbandonare la propria patria.
Oggi, siamo attoniti.
Non capiamo dove ci troviamo, non riusciamo a comprendere quello che ci accade intorno. Forse è la paura che ci spinge a dire questo. Sentiamo il bisogno di una reazione, ma non troviamo il modo perché questa esploda. Non ci fidiamo di quello che sentiamo, e cerchiamo di mantenerci in vita.
Una volta, tutto ci cresceva intorno. Adesso, lottiamo per sopravvivere.
Intorno a noi, solo rovine, resti di una civiltà in decadenza. Come lo spazio all’interno del quale presenteremo il nostro lavoro: un luogo che è memoria di un tempo e di un fare che non esistono più, un luogo esso stesso rovina, dalla quale però ripartire, ricominciare a costruire.
Quante altre civiltà hanno passato quello che stiamo passando noi? Quante persone hanno vissuto la stessa sensazione di precarietà, la sensazione interiore, ma anche e soprattutto fisica di “non avere la terra sotto i piedi”?
Oggi tocca a noi sperimentare la nullità della potenza, della ricchezza, di tutto ciò per cui l’uomo s’affanna e in cui ripone ogni speranza: ieri è toccato ad altri, domani toccherà ad altri ancora.
La sensazione è quella di essere al centro di un grande cambiamento. Con un piede su un passato che non possediamo più e l’altro su un futuro che non riusciamo a immaginare, viviamo in un presente fatto di edifici, case e pensieri che si trasformano rapidamente nei loro stessi resti, senza che nulla, almeno per ora, riesca a sostituirli.
Noi, dal centro di questo sgretolamento lanciamo un urlo: un urlo per tutto quello che si è perso, un urlo per le strade che stiamo per intraprendere e per le distanze che dovremo percorrere.
Un urlo che è anche canto, elegia: un urlo che cerca disperatamente di creare una sospensione, un oblio temporaneo di passato e futuro, uno spazio di riposo tra la memoria e l’attesa, un luogo che possa assomigliare alla felicità, alla possibilità. Un’ultima, o forse la prima, disperata reazione.
Una reazione che passa per la rabbia, e per la riappropriazione del proprio corpo: recuperare le braccia, le gambe, il fiato e il sudore. Perché questa è chiaramente una lotta, quella che il mondo ci sta chiedendo di affrontare. Una lotta che va abbracciata e attraversata armati fino ai denti, con la colonna vertebrale eretta, per vedere bene quello che sta succedendo. Per questo abbiamo svuotato lo spazio di lavoro, per questo abbiamo creato una frattura forte tra un luogo vuoto ma costretto, costruito da linee di luce che sono pareti, e i corpi di chi questo spazio è costretto ad abitare.
Abbiamo cercato di mettere in scena una rabbia che vuole esplodere, ma che parte dall’interno, dal sangue, dal nostro corpo spiazzato. Abbiamo cercato di costruire un dialogo tra oppressione e ribellione, tra perdita e reazione. Ed è nata la prima performance del progetto: La rabbia rossa.
Displace # 1 La rabbia rossa_progetto Alcatraz è un ulteriore passo di questo cammino.
In occasione della partecipazione a Fabbrica Europa abbiamo deciso, in nome della natura nomade, mutevole e costantemente in divenire del progetto Displace, di sviluppare il lavoro per adeguarlo allo spazio che lo ospita: un luogo particolare, vuoto, silenzioso, che muove lo sguardo verso l’alto.
Uno spazio simile richiedeva di essere ascoltato, per poterlo abitare nel migliore dei modi.
Per questo abbiamo deciso di realizzare per esso una parte di lavoro inedita, che aprirà lo spettacolo e che rappresenta allo stesso tempo il primo passo di un futuro sviluppo narrativo.
Un’installazione visiva e sonora che è l’inizio di un racconto futuro.
Una parete, che si fa superficie di proiezione per le immagini sfocate di un ricordo, che cerca di trattenere il segno di tutto quello che si è perso, prima che sia troppo tardi, prima che il tempo e l’azione degli uomini la facciano crollare.
Il canto di una donna, dall’alto, si diffonde nello spazio: un canto che è un addio, ma anche un nuovo inizio.
Muta Imago