18 Settembre 2022 21:00
Teatro Studio Mila Pieralli Scandicci | IT
Quando il reporter del New York Times Sam Anderson ha avuto notizia della morte dell’ultimo rinoceronte bianco maschio è volato in Kenya, dove ha trascorso una settimana con gli ultimi esemplari sopravvissuti, due femmine, madre e figlia, entrate così in quella che viene definita “estinzione funzionale”. Alla loro morte la specie sarebbe completamente scomparsa.
Anderson ha descritto la vita quotidiana di Fatu e Najin che, ignare del loro destino, pascolavano sotto il sole della riserva in cui, protette dai cacciatori, sarebbero vissute fino alla loro morte.
Un’immagine che rappresenta la vita per la vita, perché la prerogativa di questi esseri è di vivere per testimoniare l’esistenza di una specie.
Penso a questi enormi mammiferi come a creature terribilmente fragili e ai loro corpi – ormai insostituibili – come a pezzi di un museo vivente. Consapevoli che alla morte di questi ultimi due esemplari il rinoceronte bianco scomparirà per sempre, non lo vediamo più come un animale da safari ma come una creatura umana che ci mostra quale potrebbe essere il nostro destino. La loro esistenza, lo spazio che occupano, trasformano il singolo individuo in un simbolo della sua specie, così come, per analogia, un uomo solo in scena improvvisamente diventa simbolo di tutta l’umanità.
Queste riflessioni mi hanno dato serenità in un momento di grande incertezza per il mondo, un po’ come quando alla fine di “Melancholia” di Lars Von Trier il personaggio di Kirsten Dunst costruisce un rifugio senza mura, in cui ripararsi con il nipote e la sorella, e aspetta che il meteorite si scontri con la Terra.
Oltre ai miei pensieri sul momento che stiamo vivendo e sulla possibilità di trovare pace in mezzo al caos del mondo, ho voluto anche lavorare su un linguaggio coreografico che mi permettesse di giocare con dinamiche molto precise, ridisegnandone le forme in cerca di una nuova estetica del movimento.
La danza urbana mi è sembrata un campo interessante da esplorare. Ho incontrato Oulouy e insieme abbiamo preso come spunto l’hip-hop, il krump, il finger tutting e il coupé-décalé.
Trasformando questi diversi stili ho cercato di mostrare l’immagine di un uomo che danza perché ha scoperto – come dice Valéry – che abbiamo “troppa energia per le nostre necessità”.
Ho voluto presentare la danza come eccesso, come celebrazione della vita.
Danzare sino allo sfinimento, danzare sino alla fine, perché forse non c’è nient’altro da fare.
– Gaston Core –