12 Maggio 2015 - 17 Maggio 2015 21:00
Stazione Leopolda di Firenze | IT
Mi chiamo Cage (gabbia), ma sono per la libertà…
J.C.
Le foto di Silvia Lelli e Roberto Masotti, scattate il 2 dicembre del 1977 durante Empty Words (Parte III) di John Cage, ricostruiscono – nel lavoro video di Jacopo Jenna – l’atmosfera di un evento rimasto nella memoria come un esempio di “provocazione” profondamente seria e concettuale, che proponeva a un folto pubblico di circa 2500 persone (in parte inconsapevole del lavoro di Cage) la lettura di alcuni testi del Journal di Henry David Thoreau, decostruiti attraverso l’uso dell’I-Ching.
Cage andò avanti per circa due ore e mezzo con la lettura, circondato da una parte del pubblico salita sul palco per protesta e un’altra parte unita per difendere l’artista e permettergli di terminare la performance.
La registrazione dell’evento è stata effettuata dal cantautore Claudio Rocchi e pubblicata dalla Cramps Records di Gianni Sassi.
Ogni suono è musica
di Paolo Petazzi, tratto da l’Unità, venerdì 2 dicembre 1977
Chiedo come si aspetta che il pubblico reagisca di fronte a quella transizione dal linguaggio alla musica che è, secondo la definizione di Cage, Empty Words:
Vedremo cosa accade. Spero che la gente non sia troppo depressa o infelice, e che troverà qualche modo per essere interessata. Se uno effettivamente ascolta è interessante, ma talvolta la gente non ascolta, talvolta sono pieni di preconcetti su ciò che sarebbe potuto accadere… Durerà molto a lungo e perciò ho messo sul programma che la gente può uscire e tornare e, se vuole, uscire e non tornare.
Tutti insieme appassionatamente
di Enzo Beacco, tratto da La Repubblica, lunedì 5 dicembre 1977
Le proteste e gli schiamazzi sono cominciati quasi subito, non appena gli oltre duemila, forse tremila stipati al Teatro Lirico (quasi tutti giovanissimi, rappresentativi di quell’area che va dalla nuova sinistra fino all’autonomia) si sono resi conto che fino al termine la musica non sarebbe cambiata e che John Cage avrebbe continuato a sillabare le sue Parole Vuote senza toccare alcuno strumento. Dai suonaci qualcosa, un piffero, un fischietto, batti un colpo è stato uno degli inviti più moderati fra i tanti che si sono sentiti. Altri non sono difficili da immaginare.
Il pubblico strepita, John Cage ringrazia
di Carla Curina, tratto da La Stampa, sabato, 3 dicembre 1977
John Cage, 65 anni, il santone della musica di avanguardia americana, ha suonato ieri sera al Lirico di Milano ininterrottamente per due ore e mezzo mentre i giovanissimi spettatori lo bombardavano di cuscini, lo bersagliavano con gli oggetti più strani, tende, legni, specchi, sacchetti di plastica pieni d’acqua, lo deridevano, chiamandolo hippy in menopausa, lo insultavano: basta scherzare comincia a suonare. Tutti cantavano in coro Scemo, scemo, invadendo continuamente il palcoscenico malmenandolo, spingendolo, arrivando quasi allo scontro fisico. Alla fine dello spettacolo John Cage ha però ringraziato il tumultuoso pubblico per la sana vivacità, per la creatività e per avere contestato con tanta foga la sua musica basata su suoni amorfi, asettici, monocordi accompagnati da stimoli visivi: diapositive che rappresentano figure scheletriche, segni arcaici, animali preistorici. Il mio fine infatti — ci dice John Cage — è quello di provocare il pubblico, di creargli dei problemi, di farlo vivere. E questa sera ci sono riuscito.
John Cage ha giocato da solo il suo concerto
di Duilio Courir, tratto da Corriere della Sera, domenica, 4 dicembre 1977
Cage stretto al suo tavolino e al suo microfono sembrava una figura irreale, ma fermissima, contro la quale si spezzava per incanto la corrente di parole, di slogan, di canzoncine, felice senza accorgersi delle ventate che sommuovevano l’ambiente.
Dopo un’ora circa, qualcuno ha cominciato a salire sul palco ed è scoccata qualche scintilla più ravvicinata per vedere fino a che punto questo cultore della filosofia Zen era in grado d’essere coerente con se stesso. Così hanno inziato a bergli l’acqua del bicchiere ripetutamente quasi si trattasse di una fontana, a imbracciare il microfono di sala per pronunciare brandelli di discorso, ad inscenare davanti a lui delle mosse mimiche. L’ondata era crescente: un gruppo lo ha circondato e lentamente ha tentato di rompere la magia del discorso cageano divenuto finissimo, spegnendo la luce del tavolino, togliendogli gli occhiali, avvolgendolo con una sciarpa. Cage è rimasto del tutto impassibile, si è districato quasi senza un gesto da tutto quello che lo circondava e che gli impediva di continuare il suo intervento compositivo. È durato in questa maniera per due ore e mezzo, quanto era stato annunciato all’inizio esattamente. Poi si è alzato, ha attraversato il gruppo che si era stretto intorno a lui, si è presentato nella sala, ha ringraziato con un leggero inchino ed è uscito lentamente con una sovrana mitezza.
La mitezza quasi sovrumana è la carta che ha dominato questa straordinaria esperienza milanese di Cage, un profeta ed un musicista più grande di quanto i suoi stessi ammiratori più convinti fossero in grado di immaginare. A chi gli chiedeva il giorno dopo un giudizio sulla serata, egli rispondeva sorridendo che tutto gli era sembrato lieve ed irrilevante, un giuoco che non richiedeva commenti.
Silvia Lelli e Roberto Masotti
Sono nati entrambi a Ravenna. Hanno studiato a Firenze, Silvia si è laureata in architettura, Roberto si è diplomato in industrial design. Fotografi professionisti, dal 1974 vivono a Milano, dedicandosi l’una al teatro di avanguardia, alla danza, alla musica classica, al teatro d’opera, l’altro al jazz, al rock, alla musica classica, contemporanea e sperimentale.
Dal 1979 al 1996 sono stati fotografi ufficiali del Teatro alla Scala di Milano. Dal 1973 Roberto Masotti collabora con ECM records. Dal 2003 Silvia Lelli è coordinatrice e docente del Master in Fotografia presso l’Istituto Europeo di Design di Milano. Alcune fotografie di Silvia Lelli e Roberto Masotti sono state incluse nel volume Storia d’Italia – L’immagine fotografica 1945-2000, curata da Uliano Lucas (Giulio Einaudi Editore 2004) costituendo questo un importante riconoscimento. Hanno realizzato esposizioni legate alla scena musicale e teatrale: Musiche, vedere come sentire (Torino Fotografia 1981, Tokio nel 1995, Madrid 2012), Note Sparse (Sadurano 1994 – Brescia 1997/98 – Milano 1998), Il caso Makropulos (Torino 1994), Il riposo dell’artista (Milano 2002), Giuseppe Sinopoli, attimi, sguardi (Taormina 2005), Theatrum Instrumentorum (Verona 2009), La Vertigine del Teatro (Parigi 2011). Portano avanti una ricerca sulle convergenze tra fotografia e linguaggi multimediali con videoinstallazioni come: Ravenna, recenti memorie (Ravenna 1987), Per Exempla: Falstaff (Ravenna 2001), Note Sparse (Padova, Pomigliano D’Arco 2006, Scompiglio – Lucca 2014), trainCAGEtrain (Bologna 2008), Bianco Nero Piano Forte (2009), Passacaglia Alta, (Exilles, Torino 2010). Attorno a Empty Words di Cage hanno concepito l’opera dall’omonimo titolo che è stata presentata all’interno della mostra Addio Anni 70 allestita a Palazzo Reale di Milano nel 2012.
Jacopo Jenna
Jacopo Jenna è un coreografo, performer e filmaker che crea lavori per la scena, il video e per installazioni. Orienta la sua ricerca verso un dialogo tra le pratiche e tecniche delle danza e delle arti performative in relazione ad altri linguaggi. Laureato in Sociologia si avvicina alla danza in età adulta formandosi presso Codarts / Rotterdam Dance Academy. Ha collaborato in qualità di danzatore con compagnie stabili e progetti coreografici sia in Italia che all’estero.