14 Maggio 2015 21:00
Stazione Leopolda di Firenze | IT
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15 maggio 2015 21:00
Milano 1977, John Cage è schernito da un pubblico irritato dalle sue ricerche visionarie, non cogliendo il suo tentativo di abolire la differenza tra rumore e suono. Fare musica con i rumori della vita. Costruire la danza con i segni e i gesti della vita.
Parigi 2004, Angelin Preljocaj lega con una precisione chirurgica la voce gutturale e temibile di John Cage al suo vocabolario coreografico in cui tutte le sillabe, tutte le inflessioni della voce e la musica degli spettatori sono messi in gioco.
Tre decenni di distanza e la stessa forza di due artisti dotati di una serenità tipica di chi sa scrivere atti irrevocabili, decisivi.
Ecco la coreografia, il gesto è breve, perfettamente delineato, l’obiettivo è stato raggiunto. Nelle coreografie di Angelin Preljocaj, la precisione del gesto è tale che le linee dei corpi si fissano sulla retina, ricostruendo la memoria e il percorso di ciascun gesto. Memoria palpabile, memoria del gesto spezzettato in un’infinità di micro-intervalli, quasi visibili. Angelin Preljocaj, senza dubbio fa parte di coloro che hanno lasciato un segno fondamentale nel patrimonio coreografico. Indiscutibilmente, lui è uno di quegli artisti che si pongono le questioni necessarie e importanti legate alle urgenze della vita. L’Atto Artistico come solo impegno nella realtà.
Eric Bernard
“Teatro Lirico di Milano, 2 dicembre del 1977. Concerto performance di John Cage, guru dell’avanguardia musicale […]. Qualcosa va storto. L’americano in palcoscenico si esibisce in Empty words: snocciola al microfono un testo di Henry David Thoreau sulla “Disobbedienza civile”, ogni parola si trasforma in un fonema incomprensibile (parole vuole). E il pubblico poco per volta perde la pazienza, dai colpi di tosse si passa alle risate, alle grida “Basta! Assassino”.[…] Di quella serata storica, sintomatica di un clima politico di oltre 30 fa, esiste la registrazione e Angelin Preljiocaj, il grande coreografo francese, l’ha messa in danza. […] un lavoro di coreografia geniale che scorre parallela a un sound in crescendo (le grida e le proteste), non avendo motivo di esistere se non nella zampillante creatività gestuale sempre diversa eppure coerente a uno stile morbido, poco angoloso, tutto variazioni e riprese, intensa eppure levigata come una pietra di fiume.” (S. Trombetta, La Stampa)