24 Maggio 2011 - 26 Maggio 2011 21:00
Stazione Leopolda di Firenze | IT
Abbiamo costruito un’isola, immaginaria e molto concreta. Il suo terreno è fatto di strati di abiti, accessori e suppellettili saltati fuori da cassetti, cantine, solai e vecchi bauli di teatranti. Non ha leggi, quest’isola: per chi viene a visitarla c’è una libertà assoluta di trasformarsi, di riplasmare a ogni minuto la propria identità. È una libertà che ricorda, certo, quella dei giochi tra bambini; ed è con il pensiero rivolto al “bambino che non vuole crescere” per eccellenza, al Peter Pan di James B. Barrie, che abbiamo chiamato la nostra isola Never Never Neverland. Ma siamo consapevoli del sottofondo ambiguo e pericoloso di ogni tentativo di ritorno all’infanzia, come testimonia l’inquietante Neverland che è stata dimora di Michael Jackson, splendente e dolente icona pop cui pure rendiamo omaggio in questo spettacolo. Diamo sfogo al nostro desiderio di infinita metamorfosi, abbandonandoci a una sequenza di travestimenti giocosi; eppure questi stessi giochi fanno da specchio, critico e straniante, all’infantilismo della società dei consumi.
L’infantilismo contemporaneo è al centro di una rete di questioni su cui ci siamo confrontati preparando Never Never Neverland: l’identità di genere, le relazioni, la rappresentazione del corpo, i miti/prodotti della cultura di massa… Temi da tempo cari al Teatro delle Moire, sui quali ha portato il suo contributo Renato Gabrielli, un autore teatrale che partecipa alla nostra avventura sperimentando per la prima volta il ruolo di dramaturg in un lavoro di tipo performativo. Assieme a lui abbiamo esplorato una grande quantità di materiali testuali e audiovisivi: da Peter Pan a Ferdydurke di Gombrowicz; da Mine-Haha di Wedekind agli Elementi per una teoria della Jeune-Fille; da Padre e figlio di Sokurov ai video e a numerose biografie di Michael Jackson.
Su questo processo di ricerca e analisi – che tuttora continua e fornirà spunti anche per le tappe successive del nostro progetto triennale – si è innestata una lunga fase di libere improvvisazioni dei quattro performer. Messi a confronto con domande semplici e imbarazzanti sul senso e la possibile “verità” della nostra presenza in scena, abbiamo così dato forma, un vestito dopo l’altro, di metamorfosi in metamorfosi, a un’isola dell’infinito possibile. L’ultima fase di lavoro ci ha visti sacrificare molte delle scoperte fatte durante le improvvisazioni, nel tentativo di proporre al pubblico non tanto una sintesi, quanto una visione di scorcio, rapsodica e suggestiva, della nostra Never Never Neverland.
Le figure che in questa visione emergono – buffe, esposte, ferite, arrabbiate, graziose – sono tutte alla ricerca di un riconoscimento, per quanto effimero, e, in fondo, di un po’ d’amore. Difficile stare al mondo – paiono dirci. In un mondo in corsa che non ammette fragilità.