10 Settembre 2023
Palazzina Reale di Firenze | IT
ore 17:00, ore 17:30, ore 18:15, ore 18:45
Il lemma tecnico di emblema (che significa ‘faccio entrare’) è un intarsio che comporta una composizione di figure. In epoca romana indicava la dispositio, la combinazione di immagini efficaci. L’emblema cavalca le parole e i loro nessi per dire altro con le immagini. Gli emblemi sono ‘tacite note’, come i geroglifici, che appaiono ‘muti’ a chi li guarda senza che si sappia il loro significato. Sono immagini dipinte che non hanno bisogno di essere dette, bensì ‘viste’. Domani questo produce: segni che, attraverso un gioco di rimandi, esprimono attivamente dei contenuti, ovvero significano altro da sé. “Le parole significano, le cose sono significate. Tuttavia anche le cose talvolta significano”. (Andrea Alciato, Il libro degli Emblemi, Anno 1531)
domani è il passo davanti a noi? alludendo alla scarpa.
domani è un’azione performativa concettuale, un intervento minimale che si rivela al pubblico come un’azione reiterata, un moto instancabile ed essenziale in cui la componente umana, rappresentata dalla performer in scena, viene affiancata e completata da un secondo significante: la musica. Un rapporto paritario che trasforma in una figura a sé stante l’opera sonora del visionario sound artist e compositore statunitense Scott Gibbons, a conferma della collaborazione pluridecennale con Castellucci.
domani è una figura del tempo? La performance di Romeo Castellucci che prende questo titolo esaudisce il suo pauperismo nella coazione a ripetere la stessa breve catena di gesti. Pochi elementi in un intervallo vagamente definito. Il nucleo della ripetizione resta impenetrabile, non databile, non localizzabile in una vicenda. A compierla è una presenza femminile, imponente per l’altezza fuori scala. Si limita a percorrere, camminando, alcune traiettorie […]
Nel perturbante del suo sguardo rovesciato, è convocato il topos della chiaroveggenza, facoltà divinatoria ricevuta in dote con la cecità: condizione da cui si prende parola in nome del futuro. Se la cecità collima tradizionalmente con l’uso della parola prefigurante, in domani il discorso è già da subito interdetto. Non c’è nulla da divinare qui. Al suo posto un bisbigliare a fil di bocca, un ruminare imprendibile di sentenze sgranate, vociferazioni trattenute tra i denti anneriti forse da un liquore amaro. Nello sfondo la latenza di rumori di natura.
Novella Tiresia, la donna incede con una certa dose di irresolutezza. Sostiene su una spalla un lungo palo ricavato dal tronco sbozzato di un giovane albero. Le braccia sono protese in avanti in una paralisi agitante, un tremore con il quale sembra sondare la distanza che la separa dall’oggetto che inesorabilmente la precede. Nell’estremità del ramo – quella a contatto con il pavimento – è infatti conficcata la scarpa destinata a un piccolo piede, si direbbe di un bambino. Il suo o lei stessa ieri?
Nella sua oscurità, domani trama con un potenziale mitico riattivato da fusioni e innesti. Ecco che il tronco più che una verga rabdomantica potrebbe di colpo apparire come l’esito di una metamorfosi vegetale che ha nella scarpa il refuso di un precedente stato. Un innestarsi di umano non-umano, sollecitati dal costante divenire della materia che testimonia l’intima parentela tra tutte forme dell’esistente. (Piersandra Di Matteo)