18 Maggio 2011 - 19 Maggio 2011 21:00
Stazione Leopolda di Firenze | IT
Liberamente ispirato a Tristes Tropiques di Claude Lévi-Strauss
Lo spettacolo è liberamente ispirato a Tristes Tropiques di Claude Lévi-Strauss. Virgilio Sieni non mette in scena una trascrizione letterale del testo ma ne coglie il tono di grande elegia, il senso di unità perduta e al tempo stesso di sedimentazione nel corpo e nel movimento della nostalgia. In scena due coppie di donne (le danzatrici Simona Bertozzi, Michela Minguzzi, Ramona Caia e la danzatrice settantenne Elsa De Fanti) e una ragazza non vedente (Filippa Tolaro). Figure che appaiono da lontano come aloni non definiti, visione opache, figure vicine e dipendenti, coppie che “si stringono nella nostalgia di un’unità perduta”. Lo spettacolo si sviluppa in tre parti in cui le apparizioni femminili sono individuate come una presenza “penultima”, secondo un percorso tripartito tra vicinanza animale, tenerezza trasmessa, nostalgia rimasta che alimentano il senso di quello che l’etnologo definisce “l’opportunità perduta dell’Occidente di restare femmina”. Tristi Tropici apre all’agonia e al richiamo abbagliandoci di eterna nostalgia, lasciandoci intravedere la sedimentazione del rito nel suo divenire gesto tra animalità e umanità.
“Nell’estate 2008 ad Avignone, dopo aver discusso con Giorgio Agamben di danza, cous cous e inoperosità del corpo, ripresi in mano un suo saggio sul bricolage dedicato al 75° compleanno di Lévi-Strauss.
Fu lì che decisi di lavorare su quegli “straccioni sperduti in fondo alla loro palude” e come il loro abbrutimento aveva tuttavia preservato certi aspetti del passato: aspetti riflessi in decorazioni corporali e facciali di carattere ancestrale e rapporti di parentela tra gerarchie cosmiche e miti.
Corpi e popoli che mostrano un possibile legame con l’inaccessibile indicandoci un barlume di speranza. E ancora una volta ho sentito un forte desiderio rivolto alla danza, non tanto come forma metrica, simbolica, poetica, ma come esperienza dell’inerzia, come esercizio di rianimazione lungo il processo di disintegrazione dell’uomo.
Non possono esserci racconti ma deiezioni fisicamente fraseggiate dei racconti sui gruppi dei Tupi-kawahib, Nambikwara, Caduvei, Bororo fatti da Lévi-Strauss nel suo viaggio intorno agli anni ’40 nelle terre del Mato Grosso in Brasile. Popoli già alla deriva ma ancora vivi dove le “donne nobili” ci richiamano a quella che Lévi-Strauss definisce l’occasione perduta che era stata offerta all’Occidente di scegliere la sua missione.”
Virgilio Sieni